ROMANO FELTRIN - PITTURA
Romano Feltrin si forma nel clima veronese dell’Accademia Cignaroli.
Abbandona presto gli studi che riprenderà più tardi sotto la guida del maestro Franco Patuzzi.
Ha partecipato a vari concorsi e organizzato mostre in Italia e all’estero conseguendo lusinghieri successi.
Vive e lavora a Verona in via Licata 33.
Porsi davanti ad un quadro (ad una “tavola” recente di Romano Feltrin significa fare esperienza di una sorta
di “fantaspazio” a tre-quattro-cento dimensioni. La sua è una pittura di “eroici furori” e di gesti anarchici,
di slanci fermati in volo, polverizzati, frammentati. Se si cerca un appiglio, un aggancio a questo spazio tentacolare e smagliato, è uno sforzo inutile. Qui, niente inizi, niente fini: solo un intreccio, una sovrapposizione, un rovescio senza fine. Un annegamento dentro un continuo trasformarsi e dissolversi di piani, uno specchio che non rinvia più nessun riflesso, nessuna immagine, un cielo di cui non si vede il fuori con la conseguente illusione di essere completamente immersi nel suo “dentro” impossibile.
In Feltrin non si cade mai nella pericolosa trappola della narrazione, della rappresentazione o, peggio, della “descrizione”. Il suo “dentro” è l’interiorità e ha a che fare con i segreti del profondo, con le inquietudini dell’anima. Forse è per questo che in dipinti del passato Feltrin impiegava brani di neri da strutturare, grumi di buio da cui a fatica sorgeva una parvenza di rinascita, di luce. C’era ancora un tormento da superare, un’oscurità da rischiarare. Le ultime favole invece sembrano come ricucirsi e rianimarsi. Cresce non più una prospettiva negativa e malata, ma solare e sensoriale. L o spazio viene come risvegliato con tracciati (o trancianti?) di rosso, giallo, blu. Esso si affranca e si vivifica. Elimina ciò che è opaco ed esalta lo splendore dei contrasti. Ma non è una pittura della gloria, tanto che le cerniere nere, angoscianti e convulse, continuano a turbare le immagini. Solo che non sprofondano più nel loro “cuore di tenebra”, ma si scontrano e si urtano con gli altri colori. E paradossalmente, “si colorano” esse stesse, traboccando in ogni direzione e mettendo in fuga demoni e deliri. E’ l’io emozionato che la vince su ogni estraneità. E’ l’essere che torna a impadronirsi delle mille sfaccettature della propria vita.
Recensioni di LUIGI MENEGHELLI